La sostenibilità alla prova delle professioni disabilitanti

di Francesco Varanini

Un mio articolo con il titolo La sostenibilità alla prova delle professioni disabilitanti è uscito il 21 giugno 2023 su FUTURAnetwork, rivista online promossa da ASviS, Alleanza per lo Sviluppo Sostenibile, rete cui Assoetica fa parte.  Potete leggere l’articolo qui, su FUTURAnetwork, o qui in formato pdf.

L’articolo -che prende spunto da ricerche e interventi che Assoetica sta conducendo- inizia così:

“La Corporate Sustainability Reporting Directive (Parlamento Europeo e Consiglio, 14 dicembre 2022), pubblicata sulla Gazzetta ufficiale il 16 dicembre 2022, cambia le regole della rendicontazione di sostenibilità a partire da gennaio 2024. La sostenibilità è il comune impegno a garantire alle generazioni future diritti e libertà. Serve dunque oggi un’assunzione di impegni. Da parte di ogni essere umano e da parte di ogni organizzazione creata da esseri umani. Quindi anche da parte di ogni azienda.

Lo spirito della norma rimanda al concetto stesso di azienda: ‘cose da fare per raggiungere uno scopo’. Lo scopo stesso di ogni azienda dovrà evolversi alla luce della sostenibilità.  All’impegno di offrire beni o servizi, si aggiunge ora l’impegno a farlo in modo sostenibile.

Ricordiamo cosa vuol dire sostenibilità: garantire alle generazioni future almeno gli stessi spazi di libertà di cui noi godiamo oggi. Rispettare la natura e l’ambiente, ai quali apparteniamo. Ma come è che questa norma così importante, invece di garantire un punto di svolta, finisce per tradire il proprio spirito, e per ridursi a un complicato e fastidioso adempimento?”

Accade infatti, che, per motivi che spiego nell’articolo, la dichiarazione degli impegni di ogni azienda riguardo alla sostenibilità siano sia sostituita dall’obbligo di una pesante rendicontazione.

Trascrivo di seguito la conclusione.

“Ecco il ruolo dei rendicontatori: garantire che le imprese stiano alle regole imposte dalla comunità finanziaria. A questo scopo vengono imposte le regole in base alle quali stendere il bilancio contabile.  Ed ora anche le regole in base alle quali stendere il bilancio di sostenibilità.
La comunità finanziaria si è arrogata il diritto di definire ciò che è rilevantemateriale, anche in termini di sostenibilità.
Come impone il proprio interesse prevalente la comunità finanziaria? Attraverso il suo braccio armato: i rendicontatori. I più esemplari detentori di ciò che Illich definiva (in Disabling Professions, 1977) ‘potere professionale’.
Il potere professionale, spiega Illich, è detenuto “per concessione di una élite della quale sostiene gli interessi”. Il rendicontatore, dunque, lavora al servizio di un solo portatore di interessi. Questa è la sua mentalità. Questa è anche, possiamo dirlo in modo del tutto rispettoso, la sua etica professionale.

Il senso di fastidio, di estraneità di fronte alla rendicontazione di sostenibilità nasce da qui.
Chi veramente in azienda sente l’impegno orientato ad azioni sostenibili -miglioramento dei processi, attenzione ai diversi portatori di interessi, sguardo rivolto al lungo periodo, al futuro- non troverà nel rendicontatore un compagno di strada, ma al contrario un ostacolo. Il rendicontatore, disinteressato in fondo alle caratteristiche distintive di ogni singola azienda, confronta ogni dato rilevato dalla gestione con il Libro delle Regole, stilato a difesa dell’investitore finanziario. Se la meritevole azione vantaggiosa in termini di sostenibilità portata avanti da una azienda non è prevista nel Libro delle Regole, essa resterà ignota. L’azienda non potrà essere premiata come meriterebbe.
I danni che la mentalità del rendicontatore porta ad ogni politica di sostenibilità appaiono più evidenti se si immaginano le politiche di sostenibilità affidate ad altri professionisti.
Immaginiamo per esempio la sostenibilità osservata dallo sguardo di un’altra professione quella del project manager. Rispetto allo sguardo del rendicontatore, lo sguardo del project manager è certo più costruttivo.
Se le figure professionali deputate ad occuparsi di sostenibilità hanno la mentalità del project manager, agiranno in modo ben diverso dalle figure legate alla mentalità del rendicontatore. Il project manager guarda a uno scopo. La sostenibilità è di per sé uno scopo. E può ben essere intesa come componente necessaria  dello scopo di ogni progetto perseguito in azienda.
Ma conviene ricordare che ogni professione è disabilitante, depotenziante. Conviene quindi limitare per quanto possibile il peso dello professioni. Non serve fare appello ad un’etica della professione. Serve un’etica della cittadinanza attiva. Serve tornare, al di là di ogni professione a considerare centrale la figura del cittadino. Del cittadino che non si lascia ridurre ad utente. E anche del cittadino che, quando si trova ad esercitare una professione, cerca di essere il meno professionista possibile.
Troppo spesso finiamo per dimenticare che ogni lavoratore, ogni manager, ogni professionista è innanzitutto cittadino. Ogni sera, smessi i panni della professione, torniamo a casa. Torniamo ad essere cittadini. I cittadini sono madri, sono padri. Sono membri di gruppi sociali. Sono elettori. Sono impegnati in azioni civili. La sostenibilità, se affidata al professionista, è una falsificazione. Una contraddizioni in termini. Un abuso. Affidare la ricerca dello sviluppo sostenibile a professionisti è fornire ad ognuno un alibi. Ognuno potrà dire: non sono io a dovermene occupare.
Solo se intesa con gli occhi del cittadino responsabile la sostenibilità cessa di essere una tecnica alienante, una mera procedura, ed appare invece come un vivificante, promettente, impegnativo ma raggiungibile obiettivo”.

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