Personaggi e storie di azione collettive. Incontro con Simone Padovani di Justice-Initiative

di Valter Carasso

Il rapporto Experiences of Violence and Harassment at Work http://www.ilo.org/global/publications/WCMS_863095/lang–en/index.htm condotto dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro, con Lloyd’s Register Foundation e Gallup, indaga le esperienze di violenza e molestie sul lavoro a livello globale e denuncia dimensioni e complessità del fenomeno. 

Il rapporto esamina le cause che spesso impediscono alle persone di raccontare la loro esperienza. Per mancanza di fiducia nel tessuto sociale che dovrebbe proteggerle o per il diffuso costume sociale che tende a depotenziare la gravità di questi comportamenti.

Quantificare la violenza e le molestie sul lavoro non è semplice. L’indagine segnala infatti che, nel mondo, solo la metà delle vittime ha rivelato ad altri di aver subito violenze e molestie. Tra i motivi più comuni che convincono a non parlarne a qualcuno, la considerazione che si tratti di una “perdita di tempo” e la paura per la propria reputazione. A livello globale, il 17,9 per cento delle lavoratrici e dei lavoratori ha dichiarato di aver subito violenza e molestie di natura psicologica nell’ambiente di lavoro mentre l’8,5 per cento – più uomini che donne – ha riferito violenze e molestie fisiche. Infine, il 6,3 per cento ha denunciato di aver subito violenze e molestie sessuali con una quota predominante di donne.

Tra le categorie con maggiori probabilità di trasformarsi in vittime, i giovani, i lavoratori migranti e le lavoratrici e i lavoratori dipendenti. Rispetto agli uomini, le donne giovani corrono un rischio doppio. E le donne migranti, rispetto alle donne non migranti, registrano a loro volta un’incidenza doppia di violenze e molestie sessuali. Andamento che evidenzia chiaramente una intersezionalità di origine e genere affatto secondaria. 

In Italia, un rapporto Inail ha scattato la fotografia sul 2021 e ha indicato le dimensioni delle violenza contro le donne nell’ambiente di lavoro. Addirittura 1.404.000 donne, in una età compresa tra i 15 e i 65 anni, hanno dichiarato di aver subito molestie fisiche da parte di un collega o di un datore di lavoro o di essere state comunque oggetto di ricatti sessuali sul posto di lavoro. Molestie e violenze di natura sessuale rappresentano solo un aspetto del problema. La casistica in realtà è molto più ampia e interessa anche le molestie psicologiche e fisiche. Lo stesso Istituto segnala come la pandemia abbia “spostato il problema”: ha incrementato il rischio di violenza di genere tra le mura domestiche, sommandola a quella sul luogo di lavoro.

C’è poi un filo – non certo invisibile – di violenza e abusi che collega persone di tutte le età fino a toccare i minori, dentro e fuori casa. E deve farci riflettere che tutto questo avviene in ambienti che consideriamo sicuri: famiglia, luoghi di lavoro, spazi sportivi e palestre. Luoghi che dovrebbero  accogliere e formare e che invece si trasformano in ambienti ostili. Per alcuni addirittura in un vero e proprio  infermo da cui non sembra esserci via di fuga.

Oggi, l’urgenza di misure di contrasto rende necessario un quadro legislativo di riferimento costantemente aggiornato. Le aziende sono chiamate ad attivarsi concretamente nella prospettiva dell’Agenda 2030 (obiettivo numero 16). Ma non basta. Occorre diffondere una conoscenza reale del problema e risvegliare la coscienza collettiva con azioni concrete. È il tema che abbiamo approfondito con Simone Padovani, psicologo, attivista e fotografo. Con il suo progetto The Shame ha raccolto in Europa i ritratti di quasi 100 vittime di abusi minorili, dando loro voce e volto. La mostra “Shame – European Stories”, supportata dal Consiglio d’Europa e dall’associazione svizzera Guido Flury Stiftung, è stata ospitata al Palais d’Europe a Strasburgo, sede del consiglio d’Europa, nell’ottobre 2022 negli gli spazi espositivi di Emergency. Prima è stata a Venezia a maggio 2022 e poi a Casa Emergency Milano dal 23 marzo all’8 aprile. Ha poi viaggiato tra Parigi, Berlino, Madrid, Lisbona, Colonia, Oslo ed è tuttora itinerante.

Simone, il tuo è molto più di un reportage fotografico straordinario. Probabilmente fin dall’inizio c’è stata la volontà precisa di alzare il livello della testimonianza. Quali ragioni che ti hanno portato a viaggiare in tutta Europa?

“Tutto nasce nel 2015 dopo la visione del docufilm sull’indagine del Boston Globe sui casi di pedofilia clericale. Da fotoreporter italiano, mi sono chiesto immediatamente come si presentasse la situazione italiana e come mai una tematica così importante non facesse registrare un’eco maggiore. Grazie a Francesco Zanardi, presidente di Rete l’Abuso, unica associazione italiana che lotta contro l’impunità della pedofilia clericale, ho potuto verificare la dimensione di questa realtà. Tra il 2015 e il 2020 ho documentato e ritratto oltre 100 vittime di abuso sessuale clericale a livello mondiale. Nel 2021 la Fondazione Guido Flury, nel corso del Simposio a cui partecipano associazioni europee che lavorano nel campo dei diritti dei minori, ha lanciato il progetto Justice Initiative per potenziare la legislazione sulla protezione dei minori nel campo degli abusi sessuali, fisici e psicologici. A livello europeo e di singoli stati. Si apre quindi con questo progetto, che darà poi vita a Shame – European Stories, strumento di sensibilizzazione, una battaglia a cui aderiscono le più note realtà internazionali sui diritti dei minori”.

Tu sei psicologo e attivista. I tuoi scatti fotografici lo testimoniano oltre ogni parola. Ciascuna fotografia è una prova, oltre che una testimonianza, di quanto sia sconfinato l’abisso di solitudine che attraversano le vittime di abusi. Tu hai ascoltato le loro parole e hai guardato dentro i loro occhi. In qualche misura hai attraversato quegli abissi… 

Come pensi dovrebbero agire le istituzioni per proteggere minori e donne vittime di abusi?

“Sicuramente sono necessarie più azioni parallele. Le istituzioni europee, dalla UE al Consiglio d’Europa, e i governi nazionali e regionali devono investire sulla tutela dei minori. Ma anche i cittadini e la società hanno un enorme potere. Con la loro voce possono farsi “massa critica” e costringere le istituzioni a correggere gli attuali gap legislativi. A partire dalla prescrizione che in Italia, per questo tipo di reati, va dai 5 agli 8 anni. Un periodo troppo breve per attivare una denuncia. É infatti scientificamente provato, al di là della retorica politica, che il trauma generato da un abuso porta spesso la vittima a denunciare solo dopo molti anni. Un altro esempio è il web dove è necessario compiere uno sforzo legislativo maggiore per creare sistemi di controllo più sofisticati ed evitare che i minori diventino prede da adescare online. In questo senso vanno promosse specifiche campagne di informazione sull’educazione digitale. Il governo tedesco sta sensibilizzando la popolazione proprio sulle conseguenze di condivisioni di contenuti sui minori nelle piattaforme. È importante che vengano anche approvate leggi che impongano a fornitori e amministratori di rendere più sicure le loro piattaforme online, implementandone il livello di sicurezza”.

Fondazione Flury e Justice Initiative sono i due volti di una stessa medaglia: l’impegno per la tutela delle vittime di abuso. Su quali terreni operano e quali iniziative sostengono?

“Flury Foundation, con il progetto Justice Initiative, agisce su due livelli. Il primo è l’appoggio al pacchetto di leggi in fase di approvazione al Parlamento Europeo per responsabilizzare le aziende fornitrici delle piattaforme online. Lo scorso febbraio è stata lanciata la petizione europea e stiamo raggiungendo quota 250 mila firme https://justice-initiative.eu/it/petition/ .L’iniziativa terminerà a settembre e puntiamo a superare le 300 mila firme. Il secondo livello di operatività è la creazione di appositi Hub negli stati europei. Io sono il responsabile per l’Italia. Oltre a contribuire al successo della petizione, questi Hub hanno anche l’obiettivo di promuovere campagne di informazione sul loro territorio di competenza. Nel nostro caso è già pronta una proposta di legge di iniziativa popolare per rafforzare la legislazione sulla protezione dei minori. Dalla prevenzione alla denuncia fino alla compensazione delle vittime. Il testo è disponibile su www.maggioridirittiminoriprotetti.org“.

Il disagio minorile ha tanti volti. Violenza e abuso restano i più insidiosi. Ma i social hanno moltiplicato le occasioni che incidono sullo sviluppo psichico di un minorenne: cyberbullismo, hate speech, sharenting, autolesionismo nelle challenge social, razzismo da tastiera, baby gang… Le basi di una società più inclusiva dovrebbero dipendere anche  dalla buona semina che istituzioni e collettività sanno fare con cura e impegno quotidiano.  Come possono allora unire i loro sforzi istituzioni e associazioni? E verso quale direzione?

“Purtroppo in questi anni abbiamo demandato la cura e la semina di uno spirito comunitario. Abbiamo perso di vista la scala di valori che deve guidare la società civile. Ci siamo affidati troppo alla burocrazia e a strumenti di relazione impersonali. Da tempo mi chiedo quando abbiamo perso la capacità e la responsabilità individuale di educare le future generazioni. Sta a noi infatti prendercene cura, sollecitando le istituzioni a garantire la protezione dei minori. È necessario creare una forte consapevolezza nei cittadini, rendendoli partecipi delle attività delle associazioni sul territorio. È uno sforzo che deve partire dal basso e di cui tutti facciamo parte. Purtroppo non c’è ancora la consapevolezza che questi reati in Europa colpiscono il 20% della popolazione. È un numero enorme. Significa che tutti siamo coinvolti e tutti siamo responsabili.”

Pensi che l’Italia possa proporsi come Osservatorio per condurre ricerche e sperimentazioni? Un territorio dove il fenomeno migratorio richiede maggiori sforzi d’integrazione sociale può essere anche un territorio di confronto e di studio per mettere in campo buone pratiche a livello comunitario?

“Credo lo debba diventare. E per più di una ragione. L’Italia ha il più alto numero europeo di soggetti coinvolti nel traffico di minori. Spesso sono minori non accompagnati: migranti o provenienti da situazioni particolari. Inoltre, sul territorio italiano abbiamo il Vaticano, la Chiesa Cattolica. È l’istituzione religiosa con il maggior numero di casi di abuso segnalati in tutto il mondo. Infine, registriamo un altissimo numero di casi di abuso e maltrattamento minorili in famiglia. Per tutto questo, lo Stato Italiano dovrebbe diventare punto di riferimento europeo nella tutela dei minori.”

Un’ultima domanda: perché è giusto supportare la raccolta firme attiva su www.justice-initiative.eu per rendere internet un luogo più sicuro ai minori?

“Perché le sofferenze che questi abusi infliggono e l’indifferenza che li accompagna causano nelle vittime conseguenze che impattano a lungo termine sulla loro psiche e sul loro fisico. Ne condizionano l’intera vita sociale. Minano la fiducia nelle altre persone. Il silenzio diffuso contribuisce al ripresentarsi degli abusi senza soluzione di continuità. La firma alla petizione è un atto di denuncia che aiuterà a proteggere le future generazioni: è una nostra responsabilità proteggere il futuro senza voltarci dall’altra parte. L’impegno richiesto è davvero minimo: una firma. Sono proprio queste piccole azioni, compiute tutti insieme, a fare la differenza, a promuovere il cambiamento. Oltre 230 mila persone hanno già fatto questa scelta. Unirsi a loro è un atto di civiltà.”

 

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